I pesticidi
sono tra i principali responsabili del declino della vita sulla Terra,
denunciato dal rapporto mondiale sulla salute degli ecosistemi,
presentato il 6 maggio a Parigi. Robert Watson, presidente dell’IPBES
(Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) avverte: “Stiamo erodendo i pilastri stessi delle
nostre economie, i nostri mezzi di sostentamento, la sicurezza alimentare, la
salute e la qualità di vita del mondo intero". Non è troppo tardi per
agire, e conosciamo le soluzioni, ma dobbiamo agire, da subito, a tutti i
livelli.
Un primo
passo importante in questa direzione avrebbe potuto essere la Direttiva
Europea 2009/128/EC concernente l’uso sostenibile di pesticidi (SUD:
Sustainable Use of pesticides Directive).
Prevedeva un preciso cronoprogramma, poneva chiari obiettivi.
Tuttavia,
come constata la recente relazione sull’applicazione della SUD,
adottata dal Parlamento Europeo il 12 febbraio 2019, la volontà politica di
implementare pienamente questa direttiva era assente, fin dall’inizio. E ciò
sia a livello europeo, dove i provvedimenti della Politica Agricola Comunitaria
(PAC), aggiornati ogni sette anni, regolarmente ignorano le raccomandazioni
della SUD, sia a livello nazionale, dove i Piani d’Azione Nazionali (PAN) sono
estremamente carenti in questo senso. Con la conseguenza che nei 10 anni
trascorsi, l’uso di pesticidi nell’UE non è diminuito. Dieci anni persi per la
salvaguardia delle persone e dell’ambiente.
“in 63 zone
naturali protette della Germania la popolazione degli insetti volanti
(compresi gli impollinatori) è diminuita drasticamente di oltre il 75 % in
27 anni. Questo risultato è collegato al forte calo di specie di uccelli comuni
in queste zone come in tutta Europa”.
Il rapporto
dell’IPBES riassume: In Europa le specie più colpite sono l'allodola - meno 50%
negli ultimi 40 anni - la piccola farfalla blu - in calo del 38% dagli anni '70
- mentre un terzo delle api ed insetti è a rischio estinzione.
Fino a un milione di specie saranno estinte nei prossimi decenni.
La
transizione verso una tale gestione dei problemi fitosanitari è completamente
possibile e accessibile; comporta costi più alti a breve termine, ma è
estremamente vantaggiosa economicamente considerando tutti i costi legati ai
danni alla salute delle persone e degli ecosistemi.
In più, è l’unica
soluzione precorribile a lungo termine. Non c’è altra via.
Altrettanto
certo è che gli agricoltori, già messi alle strette e umiliati dal prepotere
dei colossi agroalimentari, non sono in grado da soli di sostenere i costi per
la transizione all’agricoltura ecosostenibile. Una parte del problema si può
risolvere – e questo era uno dei principali provvedimenti della SUD – spostando
i contributi statali dall’agricoltura non sostenibile a quella ecosostenibile. Dando agli agricoltori la possibilità di proteggere l'ambiente.
Attualmente i nostri territori stanno subendo gli effetti di questo meccanismo: le realtà imprenditoriali della filiera corilicola con l’appoggio dei loro referenti politici, locali e nazionali, tentano di invadere il territorio del Lago per trasformarlo in zona agroindustriale diffusa.
Il rapporto mondiale sulla biodiversità avverte: “Per evitare un disastro ecologico servono rapidi interventi politici per regolamentare lo sfruttamento delle terre e delle risorse naturali.”
Non è
certamente l’agricoltore singolo che si oppone alla riduzione o
all’eliminazione di pesticidi, perché egli vive e vede quotidianamente il degrado
del suo ambiente ed è il primo a risentire della sparizione degli uccelli, delle
api e di tanti insetti e dell’aumento di altri insetti nocivi e più resistenti; del
degrado e dell’erosione del suolo; della sparizione della vegetazione ripariale del
Lago e dei siti di riproduzione che offre.
Inoltre, i pesticidi colpiscono in primo luogo chi li usa:
“L’esposizione cronica a pesticidi nella
categoria professionale degli agricoltori è alla base di un aumento evidente
del rischio di sviluppare alterazioni di svariati organi e sistemi
dell’organismo umano quali quello nervoso, endocrino, immunitario,
riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio, favorendo in particolare
cancro, diabete, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative,
cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, disfunzioni metaboliche ed
ormonali”.
Questa
semplice indicazione è rimasta disattesa perché contraria agli interessi delle
grandi strutture economiche, spesso sovranazionali, del settore agroalimentare,
i cui solidi appoggi politici intervengono bloccando le azioni necessarie.
Attualmente i nostri territori stanno subendo gli effetti di questo meccanismo: le realtà imprenditoriali della filiera corilicola con l’appoggio dei loro referenti politici, locali e nazionali, tentano di invadere il territorio del Lago per trasformarlo in zona agroindustriale diffusa.
Fatto assai
grave è che di tale aggressione al nostro territorio, siano complici le
associazioni di categoria, che cedendo alle tentazioni economiche offerte
dall’agroindustria (“700
fascicoli aziendali!”) tradiscono i loro obblighi verso gli
agricoltori, i “coltivatori diretti”, l’ambiente e le generazioni future. Spesso
con atteggiamenti marcatamente schizofrenici, indirizzando i fondi del Piano di
Sviluppo Rurale (PSR) verso l’agroindustria, deplorando allo stesso tempo il
fatto che sono insufficienti le risorse per sostenere l’agricoltura biologica e per permettere
l’insediamento di giovani agricoltori. Oppure quando
promuovono lo sviluppo sul territorio della filiera del junk food (“55% di
zucchero, 20% di olio di palma, tracce di nocciola“), e nel contempo si
dichiarano promotori dell’eccellenza locale.
Credo che i maggiori costi derivanti dall'utilizzo di prodotti fitosanitari a basso impatto, da cui deriva minore produzione, debbano essere compensati da una tutela dei prezzi al produttore fatta a livello statale/regionale.
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