Problematiche indotte dallo sfruttamento delle risorse
geotermiche: convegno organizzato dalla
Provincia di Viterbo e il Comune di Bolsena in collaborazione con le
associazioni ambientaliste e comitati di cittadini dell’Orvietano, della Tuscia
viterbese e del Lago di Bolsena
Bolsena, 26 ottobre, ore 10:30 presso l’Auditorium
Il sindaco di Bolsena, Paolo Dottarelli ha dato il benvenuto ai relatori e ai partecipanti. Ha ribadito un fermo NO del Comune di Bolsena alla geotermia e si è detto preoccupato e amareggiato dalla scarsa presenza degli enti locali del comprensorio.
Il consigliere regionale Professor Riccardo Valentini ha aperto il suo intervento testimoniando quanto sia importante il Lago di Bolsena per l’amministrazione regionale, che sta per dare risposte determinate e definitive al problema della sua salute e dello stato delle sue acque nel quadro di una strategia comprensiva. L’assessore Refrigeri starebbe lavorando a un piano strategico (pronto “a giorni” o al massimo nel giro di alcune settimane) che risolve in un quadro condiviso e serio i vari problemi – l’inquinamento del lago dal sistema fognario disastrato, l’arsenico nell’acqua potabile (poiché il Lago potrebbe essere una fonte di acqua pulita) e le varie minacce alla qualità delle acque (come la geotermia).
Per quanto riguarda la geotermia, dapprima Valentini ha invitato a una riflessione sulle energie rinnovabili per migliorare il modo in cui produciamo l’energia. È indubbio che l’Italia ha ottenuto risultati importanti nel campo delle energie rinnovabili che rappresentano anche una grande possibilità economica per il paese. La Regione lavorerebbe a definire un piano energetico, che finora non esiste - e gli effetti di questa mancanza si vedono. L’obiettivo è di produrre, regolare e distribuire l’energia nel modo migliore. L’energia è un bene comune che deve servire al cittadino, e non può essere un business. Secondo Valentini, si può arrivare a prezzi più bassi soprattutto per piccole imprese, con piccoli impianti (p. e in zone artigianali) che danno energia direttamente a piccole imprese, invece dei megaimpianti. L’energia dev’essere prodotta in zone da scegliere con criterio più rigoroso, e deve arricchire il cittadino e non le grandi società e le mafie. Un altro obiettivo importante è di aumentare l’efficienza energetica – bisogna smettere di buttare energia: anche qui Valentini vede una grande opportunità ecologica ed economica, rigenerando l’edilizia.
Per parlare dell’impianto di Castel Giorgio, Valentini ha affermato che la Regione avrebbe “acceso un faro potente” su tutta la faccenda e vorrebbe agire assieme alla Regione Umbria, i tecnici e i comitati per vedere chiaro e per prendere atto dei rischi. Valentini s’impegna a studiare il materiale e di riportare la problematica in Regione.
Il Professor Marco Mucciarelli, nel suo intervento “Sismicità indotta, il caso Italia”, ha ricordato che i primi studi sulla sismicità indotta in Italia risalgono a più di 50 anni fa e ha citato l’esempio della diga di Vajont. Nel 1985 l’ENEL ha studiato la sismicità indotta a Larderello e ha adattato lo sfruttamento geotermico ai risultati delle ricerche. Oggi invece in Italia questa linea di ricerca è quasi estinta mentre all’estero è molto attiva, e il fatto indiscutibile che la geotermia può indurre terremoti è quasi dimenticato.
I terremoti possono essere indotti o direttamente da un contatto diretto con la faglia, o indirettamente quando si crea una perturbazione che in un secondo tempo, anche attraverso meccanismi interposti, provoca il sisma. Il rischio di danni dipende dalla grandezza del disturbo, soprattutto da differenze di temperatura e pressione create nel sottosuolo, dal tipo delle rocce coinvolte e dalla profondità del sisma; un recente studio svizzero dà un quadro comprensivo di questi meccanismi.
Vari studi, p. e. in Svizzera, Spagna, Olanda, Germania e negli Stati Uniti hanno dimostrato che nel caso dei terremoti indotti – da impianti di geotermia, di stoccaggio ed estrazioni di gas e altri - la prevenzione è possibile, perché la loro magnitudo segue un percorso temporale caratteristico che può essere modificato regolando i parametri della perturbazione indotta: condizione indispensabile è un accurato monitoraggio della sismicità della zona.
L’esperienza degli altri paesi dimostra che lo sfruttamento geotermico può essere accettato dai cittadini se sono coinvolti dall’inizio nella progettazione e prevenzione, tramite processi condivisi dove le amministrazioni offrono aiuto anche preventivo ai privati: come in Olanda dove le ditte preventivamente rendono antisismiche le case, o in Svizzera a San Gallo, dove lo Stato ha anticipatamente avvertito e informato la popolazione dei rischi legati alla costruzione dell’impianto. Dopo un terremoto indotto le autorità hanno risarcito i danni e ottenevano, in seguito a una consultazione con la popolazione, l’autorizzazione a procedere con lo sfruttamento geotermico.
Mucciarelli ha invitato ad adottare questi meccanismi considerati indispensabili in tutti i paesi - di prevenzione, di monitoraggio e di controllo delle attività, e soprattutto di condivisione - anche in Italia, dove non esistono ancora regole condivise per attivarli.
Infine, Mucciarelli ha chiesto di prestare maggiore attenzione alla sicurezza sismica degli edifici, il che potrebbe ridurre di molto sia i danni materiali, sia quelli umani nel caso di terremoti naturali o indotti.
Il Dottor Mauro Chessa ha introdotto il suo contributo
“Impatti ambientali della geotermia tradizionale: il caso Amiata” con una frase
di Fitoussi: “L'economia può essere messa
in campo per servire l'ecologia, ma la questione ecologica è essa stesa al
centro del mondo economico. Ed entrambe non sono che sottoinsiemi della
questione della giustizia sociale, cioè della questione democratica”.
Ha documentato il disastro ambientale creato dallo
sfruttamento geotermico sull’Amiata. Questi impianti, ai quali si aggiungeranno
altri dello stesso tipo nei prossimi anni, sono a ciclo aperto: aspirano i
fluidi geotermici (acqua calda contenente molti inquinanti pericolosi) e li
rilasciano, dopo raffreddamento, all'ambiente (impianti “di un’altra epoca e di
un altro mondo” secondo Margottini). Secondo dati dell’ARPA Toscana del 2009,
fuoriuscivano ogni giorno, solo dalla centrale Bagnore 3, 1 t di acido
solfidrico, 4 t di ammoniaca, 7 t di metano, 1,2 kg di acido borico, 96 g di
mercurio, 9 g di arsenico, 214 t di anidride carbonica. Filtri in seguito
installati abbattono solo una parte del mercurio e dell’acido borico. A questo
proposito, Chessa ha indicato giustamente, che gli impianti dell’Amiata non
dovrebbero ricadere nella categoria d’impianti di energia rinnovabile
incentivati dall’UE (con i “certificati verdi”), perché – causa il rilascio
massiccio di gas a effetto serra - hanno un bilancio CO2 pessimo,
peggio di una centrale convenzionale fossile.Per quanto riguarda l’acqua – tutelata da un’ottima legge regionale toscana e dalla Legge Galli come bene comune (leggi però non applicate), si è rivelato da misurazioni effettuate dal CNR nel 1999, che dal 1970 il volume dell’acquifero dell’Amiata – il più importante acquifero della Toscana – si è dimezzato; un sondaggio consecutivo effettuato dalla Regione ha confermato questo dato e ha rilevato che il livello della falda si è abbassato di più di 200 m. Malgrado alcuni studi contraddittori, è stato dimostrato che almeno una parte di questo abbassamento è dovuto allo sfruttamento geotermico, causato dalla connessione tra l’acquifero e i serbatoi geotermici nel sottosuolo estremamente fratturato dell’Amiata. Inoltre è stata dimostrata, a sostegno del supposto collegamento tra falda superficiale e acquifero termale, una correlazione tra intensità dello sfruttamento geotermico e portata delle sorgenti superficiali da una parte, e presenza di inquinanti (As, B) nella falda potabile dall’altra.
Il grande peso economico e politico dell’ENEL però, che continua a negare la responsabilità per questi danni ambientali e umani ingenti, fa sì che ogni opposizione dei comitati locali alla geotermia insostenibile sull’Amiata finora è stata vana.
Chessa ha illustrato quanto sia economicamente attraente una centrale geotermica per le aziende, grazie all’elevato “fattore di capacità” (rapporto tra potenzialità e resa effettiva), e nonostante gli alti costi iniziali (preliminari per esplorazioni, e d’investimento) cui è attribuibile il fatto che solo pochi investitori sono capaci di attivarsi nel settore. Anche senza tenere conto dei certificati verdi, gli investimenti in centrali geotermiche sarebbero i più interessanti nel campo delle energie rinnovabili.
Infine, Chessa, nel quadro iniziale di sostenibilità, ha parlato della questione sociale e dei vari tipi di conflitti che possono nascere: conflitti di valore quando sono in gioco valori non contrattabili come la salute e la vita delle persone, conflitti d’interesse, quando p. e. non ci sono ritorni economici sul territorio (come nei comuni dell’Amiata tra i più poveri della Toscana, conflitti di tipo cognitivo che possono nascere da mancanza di trasparenza e trasmissione di informazioni, e conflitti di rapporto provocati dall’insufficiente coinvolgimento dei cittadini.
Piero Bruni, presidente dell’associazione Lago di
Bolsena, nel suo intervento “Possibile impatto della geotermia sul SIC Lago di
Bolsena” ha illustrato che l’istanza di permesso di esplorazione geotermica a
Castel Giorgio, al confine dell’Umbria con il Lazio, riguarda direttamente l’acquifero
del Lago di Bolsena che si estende nel sottosuolo della zona di Castel Giorgio,
e che perciò è indispensabile il coinvolgimento della Regione Lazio e della UE
che tutela il Sito d’Interesse Comunitario Lago di Bolsena. Ha spiegato che la
Valutazione d’Impatto Ambientale deve tenere conto del pericolo di
contaminazione dell’acquifero superficiale, potabile, con acque del serbatoio
profondo – tra cui l’inquinamento con l’arsenico, presente nel fluido
geotermico in concentrazioni che possono raggiungere 500 µg/l, mentre nella
falda del Lago è a livelli molto più bassi (circa 5 - 15 µg/l). Il pericolo di
contaminazione è concreto a causa delle fratture presenti nel sottosuolo (e molti studi dimostrano un alto
grado di fratturazione) che rende probabile l’esistenza di canali di risalita
fra il serbatoio geotermico e quello utilizzato dalla rete potabile.
A questo rischio di comunicazione naturale tra i
serbatoi, si aggiunge il rischio che vie di comunicazione si formino a causa di
una carente cementazione dei tubi metallici nella roccia, o dalla loro
ossidazione o rottura. Bruni ha concluso ricordando che qualsiasi intervento che abbia un impatto sull’ambiente deve essere soggetto alla VIA (valutazione d’impatto ambientale), che è necessaria una valutazione strategica ambientale che riguarda tutta la zona del Lago di Bolsena e dovrebbe interdire lo sfruttamento geotermico in questa zona, che bisogna tutelare i nostri siti storici e vulnerabili da sismi e che è inevitabile riesaminare l’entità dell’incentivazione; tutte queste riflessioni portano a un deciso NO allo sfruttamento geotermico nel comprensorio del Lago di Bolsena.
Il Professor Claudio Margottini (“Considerazioni sulle
potenzialità geotermiche dell’Alfina”) ha parlato nella duplice veste di
scienziato da una parte e di amministratore (assessore all’ambiente del Comune
di Orvieto) e quindi al servizio della popolazione.
Ha sottolineato che per valutare un progetto occorre
la conoscenza del territorio: la VIA è necessaria per valutare l’insieme di
impatti, di pericoli che l’attività di sfruttamento geotermico può provocare
per il territorio. Di fronte a un serbatoio geotermico a liquido dominante (come
nel caso dell’Alfina) esiste il pericolo dell’inquinamento della falda
acquifera superficiale. In più, è da valutare l’impatto derivante dalla
sismicità indotta, la possibilità di eruzioni termali, e infine impatti non
specifici come l’impatto paesaggistico, l’impatto acustico etc.
Per Margottini, un problema maggiore può derivare
dalla complessa struttura, altamente eterogenea del sottosuolo nella zona
dell’Alfina. Già il fatto che il prelevamento dal serbatoio geotermico avviene
in un punto che è lontano di alcuni chilometri dal punto di reiniezione, può
essere critico perché non è sicuro che il liquido geotermico venga immesso
nello stesso serbatoio in cui avviene l’estrazione, con la possibilità di
disequilibri e stress meccanici consecutivi. Un altro problema è collegato alla
possibile esistenza di una cappa di gas nella parte superiore del serbatoio
geotermico, scoperta dalle esplorazioni dell’ENEL (con fuoriuscita di anidride
carbonica nel ’78).
Margottini ha sottolineato di essere un sostenitore
della geotermia, che però esistono zone dove sarebbe meglio rinunciare alla
realizzazione di impianti, zone con instabilità sismica elevata, zone
fratturate dove un terremoto può essere innescato già da una piccola
perturbazione esterna: questa grande sensibilità a stimolazioni della struttura
tettonica dell’Alfina è stata dimostrata dalle esplorazioni dell’ENEL (che di
conseguenza ha abbandonato i suoi progetti). Se ora società puramente
finanziarie – attirate dagli eccessivi benefici di legge che favoriscono grandi
impianti, con pericolo d’infiltrazioni mafiose - senza alcuna esperienza in
materia, ripropongono un impianto geotermico, non è il caso di darle mano
libera.
La scienza deve agire a supporto – dice Margottini -
della programmazione politica e può dare gli indirizzi per un buon governo del
territorio, ciò che richiede, tra l’altro, di tenere conto delle specificità e
criticità del territorio, come p. e. la sua sensibilità sismica, nel senso
della sostenibilità di un progetto per il territorio nonché dei benefici per le
società locali.Margottini ha rilevato che il primo obiettivo della politica locale è la difesa dei cittadini, poiché porta la responsabilità diretta della salute delle persone affidatele: ciò impone la scelta della sostenibilità e di una “geotermia etica”. Elementi di questa scelta potrebbero essere
- sviluppo di una filiera italiana di impianti;
- di comunicare e condividere il progetto con la popolazione, esponendo rischi e vantaggi, per trovare una soluzione condivisa;
- un approccio di sostenibilità trovando un equilibrio tra esigenze economiche, ecologiche e sociali;
- la condivisione equa degli incentivi con le comunità locali;
- un’altra geotermia: sicuramente con reiniezione delle acque termali nella falda di provenienza, ma soprattutto con un impatto ambientale radente zero, e con un basso impatto visivo e acustico.
Aggiunge una nota a proposito dell’impianto di Castel Giorgio, che è un impianto pilota, per definizione finalizzato alla sperimentazione, e come tale gode di un regime particolare (D. Lgs. 28/2011) – d’importanti vantaggi autorizzativi e brevissimi tempi di realizzazione. Ciò che non sembra logico, poiché sono impianti di sperimentazione e quindi da sorvegliare con più attenzione, da gestire con molta responsabilità ed eventualmente da abbandonare con l’emergere di criticità. In più, l’impianto di Castel Giorgio possiede solo poche caratteristiche sperimentali e innovative che lo potrebbero distinguere come impianto pilota. Nasce il sospetto che il regime d’impianto pilota così com’è serva soltanto per creare un bypass alla normativa che tutela ambiente e popolazione.
In conclusione, Margottini ha invocato un’etica della politica, che prenda decisioni commisurabili con scelte scientifiche rigorose, ma che prima di ogni altra cosa deve tutelare e difendere il cittadino.
Dopo alcuni interventi di cittadini, l’Assessore
all’Ambiente Provinciale e Vicepresidente della Provincia Paolo Equitani, in
conclusione del convegno ha comunicato che i 15 sindaci dell’Alto Viterbese, il
cui territorio è interessato da richieste di esplorazione geotermica, hanno
firmato una lettera di opposizione a progetti geotermici nel loro comune. Ha espresso
la sua convinzione che l’incentivazione statale di tali impianti è sbagliata e
in più applicata male, e ha citato il professor Barberi, grande promotore della
geotermia, come esempio di uno scienziato che si è venduto alle imprese.
A proposito della richiesta di riapertura della
centrale ENEL a Latera che gli era stata presentata, Equitani ha incontrato i
sindaci interessati che tutti hanno dichiarato la loro totale indisponibilità a
tale riattivazione – anche se le compensazioni ambientali elargite ai comuni
potrebbero essere cospicue. I funzionari dell’ENEL avrebbero assicurato di non
volere insistere sulla riapertura in assenza di consenso delle comunità locali.
Equitani ha concluso ribadendo la sua ferma volontà di agire a tutela dei cittadini e di difendere il territorio, deplorando però la quasi impotenza della sua amministrazione a opporsi alla corruzione continua – “l’Italia è un paese di corrotti” secondo lui – e al potere esercitato dai colossi economici. Per illustrare questo quadro, Equitani ha citato due esempi: il fatto che la Regione in questi giorni ha autorizzato altre 4 torri eoliche di 150 m nei comuni di Tessennano e Arlena di Castro, e la faccenda di Montalto di Castro, con 1200 ha di panelli fotovoltaici installati da ditte estere, dove le 60 ditte artigianali locali non sono ancora state pagate per le loro prestazioni.
Per Equitani, l’unica via d’uscita è di portare la gente in piazza. Invita cittadini e comitati a organizzare una grande manifestazione con migliaia di persone per dimostrare, p. e. a Montecitorio, contro la distruzione del territorio.
Se vogliamo riassumere i risultati del convegno di
Bolsena, emergono come punti di consenso tra scienziati e amministratori:
- La centrale geotermica progettata a Castel Giorgio
non è sostenibile perché presenta troppi rischi per l’ambiente e per la
popolazione;- Le modalità attuali d’incentivazione delle “energie rinnovabili” in Italia sono incompatibili con la tutela del territorio e in contraddizione con gli interessi della popolazione;
- Le amministrazioni locali sono quasi impotenti davanti al quadro generale di corruzione e di potere illimitato esercitato da imprese disponendo d’ingenti capitali, anche di provenienza criminale.