mercoledì 23 ottobre 2024

Aree idonee e non idonee per impianti FER

 

I numeri parlano chiaro: nell’Alta Tuscia, attorno al lago e tra il lago e il mare, sono centinaia di installazioni fotovoltaici e eolici in fase di esame e autorizzazione. Questi si aggiungerebbero a un grande numero di impianti esistenti, i quali permettono, già oggi, alla Provincia di Viterbo di produrre il 78% di energia da fonti rinnovabili dell’intera regione Lazio, e alla Regione di raggiungere gli obiettivi prefissi per il 2030. Gli apporti delle altre Province sono irrisori nel confronto: Latina (13,70%), Roma (6,58%), Frosinone (1,64%) e Rieti (0%)!



 I cittadini e i sindaci dicono basta, l’Alta Tuscia è satura - è prioritario proteggere il ricco patrimonio naturalistico e culturale della Provincia. La Regione, con il D.G.R. n. 171 del 2023 si è espressa nello stesso senso: “Risulta necessario garantire una loro dislocazione equilibrata sul territorio regionale al fine di minimizzare gli impatti sull’ambiente” poiché tale cumulo nella Provincia di Viterbo rappresenta “una elevata criticità per la sostenibilità ambientale di ulteriori eventuali iniziative”.

Contributi delle Province alla produzione di energia da fonti rinnovabili nella Regione Lazio

 Entro la fine dell’anno, la Regione deve definire le aree idonee e non idonee per la costruzione di impianti a fonti rinnovabili. Quasi un mese fa, il CAT ha trasmesso al presidente della Regione la proposta dei principali associazioni e comitati attivi nella tutela dell’ambiente, che riportiamo qui sotto:



LETTERA APERTA DALLE ASSOCIAZIONI ADERENTI AL

COORDINAMENTO AMBIENTALE TUSCIA (C.A.T.)

Alla cortese attenzione del

Sig. Presidente della Regione Lazio

Francesco Rocca S.p.m   

Canino, 25 settembre 2024


Gentile Presidente Rocca,

Ai primi di luglio scorso è stato pubblicato il Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica del 21.06.2024 per stabilire principi, criteri e modalità per l’individuazione delle Aree idonee e non idonee agli impianti FER da parte delle regioni (previsto dall’articolo 20 comma 1 del Decreto Legislativo n. 199 del 08.11.2021).

Entro gennaio 2025 devono essere emanate le relative leggi regionali garantendo l'opportuno coinvolgimento degli Enti Locali. Forte è il nostro augurio che la Regione Lazio, usi i principi, criteri e modalità indicati dal Decreto interministeriale e li potenzi per ostacolare la speculazione in atto, favorendo uno sviluppo equilibrato e razionale delle Fonti di Energia Rinnovabile.

a)           Il Decreto del 21.06.2024 permette alle Regioni di estendere fino a 7 km le “fasce di rispetto”, in cui è vietato installare impianti FER, per proteggere il patrimonio culturale ai sensi delle Parti II e III del Codice dei Beni Culturali e del paesaggio.

La Regione Lazio dovrebbe sfruttare questa grande opportunità per proteggere i territori che sono colmi di ricchezze paesaggistiche e culturali, in linea con la D.G.R. n. 171/2023, che sottolinea l'importanza di una transizione energetica sostenibile che non danneggi attività economiche, ambiente e paesaggio.

b)           Come indicato nell’articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Questo articolo suddivide i beni in quattro categorie:

  • lettera a): beni dichiarati di notevole interesse pubblico come ville, giardini e parchi;
  • lettera b): complessi di cose immobili che formano un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
  • lettera c): centri e nuclei storici;
  • lettera d): immobili o zone di rilevante interesse paesaggistico (come le zone panoramiche).

Secondo l’articolo 20, comma 8, lettera c-quater del Decreto Legislativo n. 199/2021, che disciplina le energie rinnovabili, tutte le aree elencate nell’articolo 136 del Codice dei beni culturali devono essere protette, non solo le prime due categorie. Questo significa che, oltre a ville, parchi e complessi di valore storico (lettera a e b), dovrebbero essere tutelati anche i centri storici e le zone panoramiche.

Per questo motivo, la Regione Lazio dovrebbe intervenire per assicurare una protezione completa, includendo nelle “fasce di rispetto” anche i centri storici e le zone panoramiche (citate nelle lettere c e d dell’articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio). Altrimenti, alcune aree di grande valore storico e paesaggistico non riceverebbero lo stesso livello di protezione rispetto ad altre aree già tutelate.

c)           Il Decreto Ministeriale del 10.09.2010 prescrive nella pianificazione degli impianti FER le distanze per la salvaguardia della salute pubblica e del paesaggio (Allegato 4), che sono da osservare rigorosamente come criteri minimi.

Inoltre, seguendo l’Allegato 3, comma f, del suddetto Decreto, sono da definire come aree non idonee:

  • le Aree Naturali Protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, locale) istituite ai sensi della Legge 394/91 ed inserite nell'Elenco Ufficiale delle Aree Naturali Protette;
  • le Zone Umide di importanza internazionale designate ai sensi della Convenzione di Ramsar;
  • le aree della Rete Natura 2000 (ZSC e ZPS) inclusi gli ampliamenti previsti entro il 2030;
  • le Important Bird Areas (IBA) individuate dalla LIPU e da BirdLife International.

    Sono anche da intendere come aree non idonee per le rilevanti funzioni ecologiche che rivestono, determinanti per la conservazione della biodiversità:

    • le fasce di rispetto delle aree naturali protette di  7  km per le Zone di Protezione Speciale e di 5 km per le Zone Speciali di Conservazione, ai sensi delle Direttive Comunitarie Habitat ed Uccelli;
    • le aree di connessione e di continuità ecologico-funzionale tra i vari sistemi naturali e seminaturali.

    d)           Il Decreto Ministeriale del 21.06.2024 non ha specificato quanta parte del territorio può essere occupata dagli impianti di energia rinnovabile (FER) nelle cosiddette "aree idonee".

    Senza una regola chiara sulla percentuale massima di suolo occupabile le aree idonee potrebbero essere sfruttate in maniera eccessiva o utilizzate in modo sproporzionato.

    Il decreto ha inoltre introdotto il concetto di "aree ordinarie", cioè altre zone che possono essere usate per impianti FER ma che non vengono incluse nel conteggio della porzione massima di suolo da destinare alle energie rinnovabili. Questo significa che, senza fissare un limite preciso, si rischia di espandere di fatto le "aree idonee", aumentando la superficie occupata dagli impianti FER.

    e)          Già nel 2022, con la D.G.R. n. 390, la Regione aveva definito le aree non idonee per gli impianti FER e individuato le incompatibilità paesaggistiche, evidenziando come lo sviluppo delle rinnovabili possa avere effetti negativi sul paesaggio locale, sul turismo e sull’agricoltura.

    La D.G.R. n. 171/2023 ha inoltre rilevato una distribuzione disomogenea degli impianti sul territorio regionale, con un impatto eccessivo sulla provincia di Viterbo (78,08%) rispetto ad altre province come Latina (13,70%), Roma (6,58%), Frosinone (1,64%) e Rieti (0%) e quindi  “risulta necessario garantire una loro dislocazione equilibrata sul territorio regionale al fine  di minimizzare gli impatti sull’ambiente” dovuti al loro cumulo, nella Provincia di Viterbo questo rappresenta una elevata criticità per la sostenibilità ambientale di ulteriori eventuali iniziative, in relazione all’equilibrio tra le vocazioni territoriali e gli obiettivi energetici”.

    La Tuscia ha ormai raggiunto una saturazione di impianti, rendendo necessario limitare al massimo la percentuale di suolo occupabile nelle aree idonee. In questo modo, oltre a tutelare il patrimonio culturale, si potranno preservare le tradizioni agroalimentari di alta qualità e sostenere le numerose attività economiche locali, comprese quelle dei quattro Biodistretti presenti sul territorio.

    Secondo i dati Gaudì pubblicati da Terna, ed elaborati dall'associazione Italia Solare, la provincia di Viterbo risulta al primo posto in Italia per kilowatt installati per abitante. È pertanto auspicabile promuovere una distribuzione più equa ed efficiente delle energie rinnovabili, privilegiando l'uso di aree già compromesse da attività antropiche, come superfici industriali e artigianali dismesse, aree soggette a bonifica, cave, discariche e siti contaminati.

    Il Coordinamento Ambientale Tuscia manifesta la propria piena disponibilità a un confronto istituzionale presso la Regione sui temi che incidono significativamente sulle attività economiche, agricole e turistiche del territorio, con l'obiettivo di salvaguardare il “capitale naturale” ereditato da una gestione responsabile e lungimirante tramandata dalle generazioni precedenti.

    Ringraziando anticipatamente per l’attenzione che vorrà riservare alla presente, le porgiamo i nostri più cordiali saluti.

    Le associazioni firmatarie

    Comitato Spontaneo Canino

    Verde Tuscia

    Comitato Ambiente e Salute Tuscia

    Ass. Culturale Caffè Menerva

    AssoTuscania

    Associazione Lago di Bolsena odv

    Associazione Bolsena Lago d'Europa


    Paesaggio energetico (Collage di Italia Nostra e Liis Roden a partira da un quadro di Caspar David Friedrich

    Lettera aperta a Legambiente

     

    Perché Legambiente dovrebbe riflettere sul suo nome

    (Lettera aperta del CAT a Legambiente)

     

    Porta un nome impegnativo Legambiente – una lega, un sodalizio per l’ambiente, per la protezione della Natura. Ne abbiamo bisogno in tempi come questi in cui l’ambiente si trova sotto gravi minacce e assistiamo a un suo degrado globale, che si manifesta nella diminuzione e nel degrado delle risorse naturali, nel crollo degli ecosistemi e nella perdita di biodiversità, e che mette in pericolo la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.

    L’impatto insostenibile delle azioni umani è la causa delle minacce all’ambiente e ai servizi ecosistemici indispensabili per l’umanità. La scienza le distingue in tre categorie: il cambiamento climatico, l’inquinamento e la produzione di rifiuti, e la perdita della natura (“loss of nature”) con distruzione e frammentazione degli habitat.

    È un’evidenza scientifica quindi che, per fare fronte al cambiamento climatico, decarbonizzare (ed è questo l’obiettivo principale dell’introduzione delle Fonti di Energia Rinnovabile “FER” e delle rispettive direttive europee di cui la RED 3 è l’ultima) è importante quanto preservare l’ambiente e tutelare la biodiversità (oggetto delle Direttive Habitat e Uccelli, della Strategia per la Biodiversità e della Restoration Law di recente adozione): perché sono azioni sinergiche che rafforzano l’efficacia l’una dell’altra. Occorre coniugare gli obiettivi ambiziosi dello sviluppo delle FER con gli obiettivi altrettanto ambiziosi della tutela della natura e della biodiversità, ambedue e a pari diritto prioritari.

    Non è questa la posizione degli esponenti di Legambiente quando commentano l’opposizione locale agli impianti industriali FER nell’Alta Tuscia. Come esempio basterà riportare le parole del segretario nazionale Angelo Gentili a proposito del parco eolico di Pitigliano: “L’unico vero pericolo che abbiamo davanti è la crisi climatica…”.  A suo dire il NO locale all’eolico sarebbe principalmente legato a motivazioni di natura ideologica piuttosto che al reale impatto che l’impianto potrebbe avere sul territorio. Egli ritiene “un processo culturale necessario” il sostegno alla realizzazione di impianti eolici e agrivoltaici, dove la difesa di ambiente e paesaggio (il quale Gentili riduce a “skyline e panorami”) è un aspetto del tutto secondario.

    A tal proposito torna utile ricordare l’intervento di Silvana Sciarra, presidente della Corte costituzionale, durante le celebrazioni del 75esimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione. In tale occasione la Presidente evidenziava che il paesaggio nel suo aspetto visivo assomma contenuti ambientali e culturali e dunque è di per sé un valore costituzionale. Paesaggio che va inteso non come un concetto astratto di “bellezze naturali”, ma come bene comune complesso e unitario, che l’articolo 9 della Costituzione tutela insieme al patrimonio storico e artistico della Nazione “anche nell'interesse delle future generazioni”.

    Al contrario, Legambiente propone, per superare le “lungaggini dei processi autorizzativi nazionali e regionali, dei contenziosi sollevati da Comuni, Regioni e cittadini (sindromi Nimby e Nimto) che bloccano la realizzazione di grandi impianti FER”, misure di semplificazione e accelerazione che per lo più mirano all’eliminazione e all’indebolimento delle salvaguardie ambientali e paesaggistiche. Questo, probabilmente, nel senso di “un percorso di consapevolezza e acculturamento sul fronte delle energie rinnovabili” da parte delle comunità, che sono considerate ignoranti e prive delle necessarie competenze.

    Liquidare le obiezioni fondate di cittadini, Comuni e Regione come sindromi di negazione della realtà, riflette una posizione di Legambiente superficiale e troppo spesso caratterizzata da un senso di superiorità. Superiorità oggettivamente infondata e sicuramente controproducente al “bisogno di una maggiore partecipazione e protagonismo dei territori”, come constata lo stesso rapporto “Scacco Matto” di Legambiente, dove pure si riconosce che vanno “rafforzati processi di dialogo, ascolto, confronto con l’obiettivo di trovare soluzioni. Anche il mio miglior progetto, se calato dall’alto, rischia, infatti, di non vedere la luce.”

    Ma è proprio qui uno dei motivi principali delle “lungaggini” deplorate: progetti industriali distruttivi vengono calati dall’alto senza dialogo, ascolto, confronto, nel disprezzo della natura e delle persone. Non meno importante è un altro motivo di opposizione, cioè la qualità insufficiente e inaccettabile dei progetti, di cui uno dei peggiori è proprio quello dell’impianto di Pitigliano, singolarmente carente sul piano tecnico-scientifico e del rispetto delle normative.

    Legambiente difende acriticamente non solo questo progetto e simili, ma chiude anche gli occhi davanti alle alternative evidenti alla distruzione di ambiente e paesaggio. Le quali non consistono, come fa credere, nella rinuncia alle energie rinnovabili, ma al loro impiego razionale e intelligente, permettendo di coniugare gli obiettivi dello sviluppo delle FER con quelli della tutela della natura e della biodiversità.

    Queste alternative sono: installare il fotovoltaico su tetti e in aree impermeabilizzate e degradate, fondare comunità energetiche, permettere con misura impianti dell’agrivoltaico sostenibile dove il danno agli ecosistemi viene compensato da aree dedicate al recupero della biodiversità, e innanzitutto realizzare grandi impianti eolici in mare aperto (offshore), dove si possono, grazie alla lunghissima linea di costa della penisola, collocare tutti gli impianti necessari per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale.

    Nessun bisogno di riempire fino all’ultimo gli spazi naturali della Tuscia: la soluzione per coniugare la tutela di ambiente e paesaggio con lo sviluppo delle FER esiste. Adottare, sostenere, esigere questa soluzione sarebbe un impegno degno di una vera Lega per l’Ambiente.

      

     


    sabato 4 maggio 2024

    L’inverno limnologico 2023-2024

     

    L’inverno 2023-2024 è stato particolare per il lago, con le sue temperature miti e con un sensibile riscaldamento degli strati superficiali dell’acqua a partire da gennaio e per tutto febbraio. Inoltre e più importante ancora, sono mancati i normali periodi di forti venti freddi da settentrione, che in altri anni riescono a rimescolare il volume d’acqua del lago e ad arricchirlo fino in fondo di ossigeno.

    Di un inverno così il Lago avrebbe bisogno

    Alcuni effetti di questa situazione eccezionale sono illustrati nei grafici seguenti, elaborati a partire dai recenti monitoraggi dell’Associazione Lago di Bolsena.

    Il primo grafico evidenzia che all’inizio dell’anno 2024, la “stratificazione” – la suddivisione del lago in strati distinti e stabili con temperature diverse - che si era formata nel corso del 2023, è rimasta intatta - si è indebolita e spostata a una notevole profondità (a circa 60 metri), ma non è stata interamente cancellata da un rimescolamento invernale delle acque. Inoltre, si osserva che la nuova stratificazione dovuta al riscaldamento delle acque superficiali nel 2024, è iniziata precocemente sovrapponendosi alla vecchia. Già nel mese di febbraio si osserva uno strato in superficie (”epilimnio”), con una temperatura di circa 11°C e uno spessore di circa 4,5 metri. Poco più profondo si trova uno strato di transizione (il “metalimnio”) spesso circa 4 metri, dove la temperatura scende rapidamente (ma comunque solo di un mezzo grado). Tra 8 metri e 50 metri poi, la temperatura continua a diminuire lentamente.

    Visto l’assenza di forti venti capaci di sconvolgerlo, lo strato superficiale riscaldato è stato di una stabilità sufficiente per ostacolare scambi verticali di sostanze disciolte nell’acqua come ossigeno, nutrienti e altre. Solo questo strato è pienamente rimescolato, in contatto con l’atmosfera e quindi completamente ossigenato, le acque più profonde (“l’ipolimnio”) invece no. Come si vede nei grafici, nell’ipolimnio, nella sua parte tra 9 metri e 60 metri, assieme alla temperatura scende lentamente anche la concentrazione di ossigeno.

    A una profondità di 60 metri si osserva il residuo della stratificazione dell’anno 2023, che separa efficacemente la parte superiore dell’ipolimnio da quella inferiore, nel senso che impedisce scambi verticali nella colonna d’acqua. In tal modo, le acque a profondità più grandi, tra 60 metri e 128 metri, sono separate dalla superficie e prive della possibilità di ossigenarsi durante l’anno.

    Grafico 1: Profilo della temperatura del lago (scala verticale a sinistra) in funzione della profondità il 19 febbraio 2024 (simboli arancioni) e il 20 febbraio 2022 (dopo rimescolamento completo, simboli blu). Linea rossa e linea viola: Gauss-fit alla derivata del profilo di febbraio 2024 (scala verticale a destra).

    Il secondo grafico rappresenta la distribuzione dell’ossigeno disciolto nelle acque in funzione della profondità a febbraio e ad aprile 2024, confrontata con l’andamento tipico dopo un rimescolamento completo del lago (come è successo per esempio nell’anno 2022), dove temperatura e concentrazione di sostanze disciolte sono pressoché uguali a tutte le profondità, e dove non esistono quindi barriere alla totale circolazione dell’acqua con le sue sostanze disciolte in tutto il volume del lago. Durante tutto l’inverno scorso invece, la distribuzione dell’ossigeno mostra caratteristiche tipiche del periodo di massima stratificazione, con una lenta e continua diminuzione fino alla sua completa assenza (“anossia”) sul fondo, in uno strato di acqua spesso quattro metri. Questo strato è iniziato a formarsi a luglio 2023, aumentato di spessore fino a 7 metri a fine dicembre 2023, per diminuire a 4 metri a febbraio e sparire inizio aprile. Nel nostro lago non è mai stata osservata un’anossia che perdurava così a lungo e che si dissolveva soltanto ad aprile - e questo grazie piuttosto a una ridistribuzione dell’ossigeno nell’ipolimnio profondo che a un suo rifornimento dalla superficie.

    Grafico 2: Profilo della concentrazione di ossigeno disciolto in funzione della profondità (in alto, scala a sinistra) e della concentrazione di clorofilla-a (in basso, scala a destra), il 19 febbraio 2024 (simboli arancioni), il 7 aprile 2024 (simboli verdi) e il 14 marzo 2022 (simboli blu)

     Nella curva della concentrazione dell’ossigeno nei primi 30 metri, il 7 aprile si nota un aumento con un massimo attorno alla posizione del metalimnio, la zona di transizione dallo strato superficiale con temperature alte (l’epilimnio) alle acque più profonde e più fredde (l’ipolimnio). Questo aumento è dovuto alla crescita del fitoplancton, molto intensa in primavera 2024 grazie all’abbondante presenza del fosforo, alle temperature miti e alla notevole irradiazione solare. Una parte di questa “boccata di ossigeno” raggiunge la superficie e viene rilasciata nell’aria; un’altra può diffondersi nelle acque più profonde.

    La concentrazione del fitoplancton viene illustrata direttamente dalla misura concomitante della clorofilla-a (grafico 2, curve in basso). 

    Tuttavia, l’effetto benefico della fotosintesi durerà poco, perché l’ossigeno disciolto nell’ipolimnio sarà consumato dai batteri che digeriscono le spoglie del fitoplancton mentre scendono verso il fondo, e dall’ossidazione di metaboliti reattivi come NH3 e CH4.

    Da molti anni e con un’attenzione che cresce di anno in anno, la scienza mette in luce gli effetti del cambiamento climatico sull’ecologia dei laghi. L’inverno 2023-2024 illustra chiaramente i principali tratti della risposta dei laghi a questo cambiamento, che sono:

    ·     l’accentuarsi della stratificazione, per quanto riguarda la sua stabilità e la sua durata nell’anno, con un inizio anticipato,

    ·     la sovrapposizione di stratificazioni, isolando gli strati profondi dalla superficie,

    ·     la diminuzione della concentrazione di ossigeno nell’ipolimnio,

    ·     un’anossia sul fondolago che durerà più a lungo nel tempo e che interesserà uno strato di acqua sempre più spesso.

    Questi effetti del cambiamento climatico si aggiungeranno a quelli dell’apporto eccessivo di nutrienti che osserviamo, anche quelli, da molti anni, con:

    ·     una generale diminuzione della concentrazione di ossigeno, soprattutto negli strati profondi,

    ·     la formazione di sostanze tossiche (NH3, H2S … ) e climalteranti (CH4) nelle acque a basso contenuto di ossigeno,

    ·     un ulteriore aumento del carico di fosforo (in un ciclo a retroazione positiva), a causa della diminuzione della capacità netta dei sedimenti di fondolago di sequestrarlo.

    A lungo termine, tutti questi fenomeni e meccanismi possono indurre cambiamenti irreversibili nell’ecologia del lago, per esempio nella struttura delle comunità degli organismi acquatici e delle reti trofiche, con un crescente rischio per la biodiversità e i servizi ecosistemici che ci dona il lago.

    Vogliamo citarne solo un esempio – i cambiamenti che si profilano per l’habitat del “nostro” coregone, che predilige acque pulite, ben ossigenate e fresche. Trova il suo habitat ottimale nelle acque del lago che, dopo un rimescolamento invernale completo, hanno una temperatura attorno a 9°C e sono sature di ossigeno. Con l’avanzare delle stagioni, il coregone evita le acque riscaldate dell’epilimnio e le acque impoverite in ossigeno sul fondo, poiché inizia a soffrire a una concentrazione inferiore a 6 mg/l: il suo spazio vitale man mano si restringe. Oggi (inizio maggio 2024) trova condizioni ideali di temperatura e ossigeno soltanto tra 20 metri e 60 metri di profondità, e questa “finestra” si ridurrà ancora durante l’anno, con il rischio che il coregone in questo spazio ristretto non possa trovare le condizioni necessarie a soddisfare tutte le altre sue esigenze vitali.




    martedì 16 gennaio 2024

    Una nuova sfida per il lago – la cozza Quagga

     

    Nell’ultimo decennio nei laghi dell’emisfero nord del mondo, già provati da inquinamento e cambiamento climatico, è emersa una nuova minaccia per la stabilità degli ecosistemi – la cozza Quagga (Dreissena rostriformis bugensis): pressoché triangolare, piccola di dimensioni (al massimo 4 cm), e molto invasiva. Nell’Europa settentrionale, si è diffusa con estrema rapidità risalendo i fiumi per raggiungere i laghi interni. È arrivata nella zona alpina, nell’Alto Reno presso Basilea nel 2014, nel Lago di Ginevra (2015), nel Lago di Costanza (2016), poco dopo nei laghi alpini della Baviera e dell’Austria. Ha raggiunto il Lago Maggiore, il Lago di Lugano e, nel 2023, il Lago di Garda.

    la cozza Quagga (Dreissena rostriformis bugensis)


    La cozza si diffonde di lago in lago tramite le vie di comunicazione, per le reti fluviali soprattutto nel loro stato larvale, ma anche come “hitchhiker” - attaccata a barche e attrezzature p. es. per la pesca, che vengono spostate da un lago infestato a uno ancora sano. I laghi con grande interesse per pesca e turismo in tal modo sono quelli più a rischio.

    cartellone con indicazioni su come evitare la proliferazione della Quagga sul Lake Pleasant in Arizona

    Una delle principali minacce per le specie e gli habitat della Zona Speciale di Conservazione (ZSC) del Lago di Bolsena, è l’introduzione di specie aliene (i. e. non native, non autoctone) e invasive, sia vegetali che animali (INNS – invasive non-native species), che minacciano gli equilibri ecosistemici naturali e possono causare enormi danni economici.

    Nella tabella sono elencate le “pressioni” individuate dallo Studio Generale ZPS “Lago di Bolsena – Is. Bisentina e Martana” (cod. IT6010055) e SIC “Lago di Bolsena” (cod. IT6010007) e “Isole Bisentina e Martana” (cod. IT6010041) a cura di Lynx Natura e Ambiente s.l.r.  e dalle rispettive Misure di Conservazione, adottate dalla Giunta Regionale con Deliberazione del 14 aprile 2016:


    Determinanti

     

    Pressioni

     

    disturbo antropico diretto

    settore

     

     

    agricoltura

    inquinamento diffuso acque

    Prelievo di acque superficiali per agricoltura

    Modifiche alle condizioni idrauliche

    Gestione della vegetazione acquatica e ripariale

    domestico

    inquinamento diffuso e puntuale acque

    Prelievo di acque superficiali per uso domestico

    industria (geotermia)

    inquinamento diffuso di aria, acqua e suolo

    aree industriali

    prelievo di acque superficiali per uso industriale

    commercio

    inquinamento diffuso e puntuale acque

    aree commerciali

    turismo

    inquinamento diffuso e puntuale acque

    aree turistiche

    urbanizzazione

    Gestione della vegetazione acquatica e ripariale

    aree urbanizzate

    intrusione umana e disturbo

    aree ripariali

    Penetrazione/disturbo sotto la superficie del fondale

    sport nautici motorizzati

    risorse biologiche 

    pesca sportiva

     

    disturbo antropico indiretto

    pesca e turismo

    altre specie e geni (specie esotiche invasive (animali e vegetali))


    Tali misure di conservazione dispongono che “è vietata l’immissione nell’ambiente naturale di specie animali non autoctone.”

    Questa delibera pone fine (almeno in teoria) alla pratica rischiosa ma diffusa nel passato con la quale numerose specie sono state introdotte nel Lago – volontariamente, accidentalmente, con semine azzeccate o sbagliate - con il risultato che oggi le specie alloctone dominano la popolazione ittica.

    Nel Lago di Bolsena, nei tempi passati e soprattutto dalla fine dell’800 in poi, sono state introdotte molte specie di pesci che si sono “acclimatate” - il coregone, il latterino, la carpa, il persico reale, il persico sole, il persico trota, il pesce gatto, la carpa erbivora (“Amur”), le quali nell’insieme hanno trasformato l’ecosistema lacustre (vedi a proposito qui, a pagina 14 ff). Il gambero rosso della Louisiana e la nutria stanno rimpiazzando specie indigene e meno aggressive; è stato catturato recentemente anche un esemplare di siluro che, se la specie si moltiplicasse, potrebbe avere un importante impatto negativo sulle popolazioni ittiche. Nella vegetazione attorno al Lago sono da considerare alloctone, invasive e acclimatate, specie come la cannuccia domestica e la robinia.

    Gambero rosso della Louisiana                              Siluro                                         

    Nel mondo conosciamo molti casi in cui ecosistemi lacustri sono stati sconvolti dall’introduzione sconsiderata di specie aliene. Tra di loro l’esempio più eclatante è forse il “Great Flathead Fish Fiasco” che portò alla sparizione del salmone rosso (kokanee), pesce pregiato e di grande importanza per l’economia locale, dal Lake Flathead nel nord degli Stati Uniti. Questo per colpa di un piccolo crostaceo (Mysis diluviana), introdotto dal 1969 negli affluenti del Lake Flathead con lo scopo di cibare e accrescere la popolazione dei kokanee. Nel 1984 il Mysis fece apparizione massiccia nel lago, e – sorpresa - nel 1986 i salmoni invece di moltiplicarsi erano spariti!

    Con loro sparivano anche i turisti – i pescatori di kokanee e i naturalisti amanti delle aquile testabianca che davano la caccia ai salmoni. Un’accurata analisi dell’accaduto rivela le complesse interazioni nella rete trofica che assieme alle specifiche caratteristiche geofisiche del lago causarono il disastro.

    La Quagga non è la prima cozza di acque dolci che invade i laghi del mondo. È stata preceduta da un altro membro della famiglia e del genere Dreissena (1), la cozza Zebra (Dreissena polymorpha), nativa come la Quagga della zona del Mar Nero e Mare Caspio, che all’inizio del secolo scorso cominciò a diffondersi, risalendo i fiumi Dnepr e Bug per arrivare al Mar Baltico e in tutto l’emisfero nord del mondo. In Italia è presente nei laghi alpini, e anche in Toscana, in Umbria nel Lago Trasimeno e in Sicilia. Anche se la Zebra ha alterato gli ecosistemi e creato danni, è meno pericolosa della Quagga perché si adatta bene solo a certi ambienti, e si moltiplica meno rapidamente.

    larve veliger della Quagga

    La cozza Quagga è temibile soprattutto perché si adatta facilmente a ambienti diversi e ha una capacità di riproduzione enorme: una femmina produce fino a un milione di uova all’anno. Dalle uova fecondate si sviluppano in grande numero minuscole larve chiamate “veliger” (i.e. chi porta vele) che, trascinate dalle correnti, si diffondono e si fissano su vari substrati fondali, sia duri che morbidi. Le Quagga sopravvivono in acque di varia composizione chimica, a varie temperature, in acque basse e anche in grandi profondità, e a lungo anche fuori acqua. La cozza adulta, inoltre, ha pochi antagonisti naturali.

    Come il Mysis, la Quagga è un’“ingegnera ecosistemica”, un neozoon capace di alterare gli ecosistemi. Un adulto filtra circa un litro di acqua al giorno, ne estrae i microorganismo – zoo- e fitoplancton, batteri, virus e anche i propri veliger - e li digerisce. Espelle nelle (pseudo)feci le parti indigeribili e con le acque fosfati disciolti. Con ciò trasferisce sul loro habitat nei fondali dei laghi, grandi quantità di nutrienti, con effetti che sconvolgono le reti trofiche:

    - sottraendo dalle acque pelagiche il nutrimento per zooplancton e pesci pregiati,

    - favorendo certe specie che vivono e si nutrono sui fondali,

    - accumulando sul fondolago le sostanze indigeste tra cui cianobatteri,

    - aumentando il consumo dell’ossigeno in profondità.

    L’insieme delle conseguenze dell’invasione delle cozze Quagga in un lago come il nostro è difficile a prevedere (vedi qui per un recente riassunto), e non possiamo escludere un “fiasco” come successe nel Lake Flathead. È molto probabile che il pescato di specie planctivore (e in particolare quelle che si nutrono di zooplancton) come il coregone diminuisca come osservato in vari laghi del mondo – da una parte perché questi pesci trovano meno cibo, dall’altra perché la popolazione di specie antagoniste come pesci littorali e/o bentonici aumentano. In generale, l’effetto ecosistemico più inquietante è il trasferimento a una sola specie, alle cozze Quagga appunto, del controllo sui cicli dei nutrienti e in particolare sul ciclo del fosforo.

    biofouling di barca

    Non mancano altre conseguenze negative:

    - le cozze provocano problemi e danni di “biofouling” a barche e strutture portuali; intasano inoltre tubature e pompe per il prelievo di acqua dal lago,

    - le spiagge diventano sgradevoli e difficili da percorrere a causa dei margini taglienti dei gusci che vi si ammassano.

    È imperativo prendere misure per impedire che le Quagga invadano anche i laghi del centro d’Italia. I primi passi sarebbero l’informazione del pubblico e un monitoraggio preventivo, tramite osservazioni e prelievi di campioni con analisi del DNA ambientale (eDNA).

    Va rapidamente, prima dell’inizio della stagione, definito un regolamento da mettere in atto rigorosamente seguendo l’esempio del cantone Ticino (vedi qui per la scheda tecnica per le imbarcazioni), che prevede il controllo degli spostamenti di barche e attrezzature per la pesca (carp-fishing!) e la loro pulizia meticolosa. In questo contesto è indispensabile affrontare il problema delle numerose postazioni e rimesse di barche abusive e incontrollate nel comprensorio del Lago di Bolsena. 




    (1)   Nel 1838 van Beneden attribuisce questo nome alla specie in onore del farmacista belga Henri Dreissens di Maaseik, che l’ha scoperto (Description des coquilles fossiles recueillies en Crimée par M. de Verneuil et obsevations générales à leur sujet. Mémoires de la Société géologique de France, vol. III, p. 37-69, 1838).