sabato 1 febbraio 2020

Quale geotermia - 2: La geotermia è una fonte di energia elettrica sostenibile per l'ambiente?


Premessa

Il secondo grande obiettivo dell’incentivazione della produzione di energia da fonti rinnovabili è quello di promuovere la sostenibilità del processo.

Un processo sostenibile è capace di soddisfare i bisogni della generazione presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri (Rapporto Brundtland).

Uno dei più grandi problemi per la sostenibilità della geotermia è dovuto a un fatto storico. Sin dall’inizio del suo sfruttamento industriale, per motivi tecnici e economici, si è data la preferenza a una risorsa geotermica ottimizzata rispetto ai seguenti parametri:

- vicinanza alla superficie,

- alta temperatura (“entalpia”) della risorsa,

- disponibilità di un grande volume del vettore geotermico.

Questi sono i criteri che hanno motivato la collocazione della prima centrale a Larderello e hanno, in Italia e fino ad oggi, condizionato la ricerca geografica e l’insediamento di nuovi impianti che si trovano tutti in Toscana [1].


È importante sottolineare che questi criteri oggi non sono più validi e determinanti quanto lo erano cento anni fa.

In Toscana sono attive 36 centrali geotermiche gestite dall’ENEL e ubicate nelle quattro aree territoriali di Larderello, Radicondoli-Travale, Lago Boracifero e Piancastagnaio (Monte Amiata). Negli ultimi 50 anni la ricerca della risorsa si è estesa ai laghi vulcanici dell’Italia centrale e alle zone vulcaniche della Campania.

Queste zone presentano caratteristiche comuni: struttura geologica complessa dovuta a recenti sconvolgimenti e dissesti con numerose faglie e fratture, vulcanismo recente, faglie tettoniche profonde, sismicità importante. Sono zone con anomalie strutturali che causano flussi eccezionalmente alti di calore e permettono, appunto, di trovare una risorsa abbondante e ad alta temperatura vicino alla superficie.

La scelta di sfruttare la risorsa geotermica in queste zone “anomale”, condizionata da considerazioni tecniche e economiche non più valide oggi, ha due conseguenze nefaste:

- considerazioni di sicurezza, tutela dell’ambiente e delle persone, e persino di ordine economico sono passate, e finora rimangono, in secondo piano,

-  l’attenzione si è concentrata sul settore geotermoelettrico e di conseguenza sulla sua generosa incentivazione, bloccando la strada a una geotermia più moderna, più sostenibile. 

isolinee dei flussi di calore in superficie nella zona dell'Amiata e del Lago di Bolsena

2 - La geotermia è una fonte di energia elettrica sostenibile per l’ambiente?


Il primo post di questa serie trattava la questione della rinnovabilità dell’utilizzo della risorsa geotermica per la produzione di energia elettrica nei vari tipi d’impianto.

In questo secondo post parliamo della sostenibilità ambientale degli impianti geotermici e analizziamo i rischi e impatti dei vari tipi d’impianto sull’ambiente.

Seguirà un terzo post sulla sostenibilità sociale e economica di questo uso della geotermia e sull’incentivazione della geotermia.

Tradizionalmente la sostenibilità è divisa nei tre settori: economico, sociale e ambientale. In tutti questi settori, lo sfruttamento geotermoelettrico presenta importanti criticità.

Determinare la sostenibilità di un’azione, progettare in modo sostenibile vuol dire “mantenere l'equilibrio tra resilienza ecologica, prosperità economica, giustizia politica e vitalità culturale con lo scopo di garantire un pianeta accogliente per tutte le specie, sia nel presente sia per il futuro” (vedi qui): Vuol dire trovare un compromesso tra le esigenze dei tre settori.

Il quadro cambia, quando sono in gioco valori essenziali, condizioni imprescindibili. L’esempio attuale è la necessità di arrestare il degrado degli ecosistemi e con ciò il degrado dei servizi ecosistemici: servizi che hanno un altissimo valore economico ma non solo, servizi che in molti casi sono insostituibili e non possono essere riprodotti da processi tecnologici. In questo caso (per esempio nelle aree protette), si applica la “sostenibilità forte”, dove l’accento è sulle esigenze del settore ambientale – sull’ecosostenibilità.



Sostenibilità e tipo di impianto

Le criticità sul piano della sostenibilità si esprimono secondo il tipo dell’impianto geotermoelettrico e secondo le caratteristiche delle zone dove è realizzato l’impianto. Distinguiamo 4 tipi (generazioni) di impianti (vedi qui):

A ― di “prima generazione”, in centrali a “ciclo aperto” (tra cui le centrali dette “flash”),

B ― di “seconda generazione”, in centrali a “ciclo chiuso” (centrali dette “binarie”),

C ― di “terza generazione[2], in sistemi denominati DHE o DHHE (down hole exchanger, deep hole heat exchanger…),

D ― innovative e sperimentali: geotermia “termoelettrica” (effetto Seebeck), EAVOR_loop…

Questi quattro tipi si differenziano per il loro impatto ambientale e socioeconomico, e nelle loro caratteristiche economiche.



Sostenibilità e luogo geografico dell’impianto

La sostenibilità di un dato impianto, però, non dipende soltanto dalla sua tipologia: un ulteriore parametro decisivo per gli impatti di una centrale geotermoelettrica è il luogo dove si realizza: il luogo geografico con le sue caratteristiche geologiche, ambientali, paesaggistiche, naturalistiche, demografiche, socioeconomiche.

Distinguiamo quindi, per un dato luogo geografico, le relative caratteristiche:

1 – Caratteristiche geologiche

Zone di geologia “complessa” – per esempio con vulcanismo recente e movimenti tettonici attuali, con geomorfologia complessa e alta densità di faglie e fratture, con sismicità naturale importante (eventi sismici naturali con M > 3) e presenza di anomalie geotermiche dove la risorsa con fluido geotermico ad alta temperature si trova vicino alla superficie. Zone tipiche con geologia complessa sono i campi geotermici di Torre Alfina e Latera.
schema della struttura geologica del campo di Latera


Un problema importante in queste aree geologicamente complesse è il fatto che è molto difficile ottenere una conoscenza analitica sufficiente del sottosuolo, per predire le condizioni dello sfruttamento che garantiscono la rinnovabilità della risorsa, la sostenibilità dell’uso e l’assenza di rischi per l’ambiente e l’uomo. L’esplorazione e un’eventuale modellazione numerica di struttura e caratteristiche geofisiche del sottosuolo sono a priori impossibili a partire da dati integrali raccolti in superficie, e comunque difficili da determinare anche con dati provenienti da perforazioni (esse stesse creano rischi ambientali in queste zone!).

- Zone con geologia “tranquilla” – per esempio strati di deposizione e sedimentazione antichi e spessi, senza vulcanismo e movimenti tettonici, con bassa densità di faglie e sismicità naturale bassa (nessun evento sismico naturale con M > 3), con gradiente geotermico normale e l’acquifero geotermico a grande profondità. Una zona tipica con geologia tranquilla sarebbe un bacino formato da depositi e sedimenti antichi come il Bacino Parigino.

In questo caso di geologia tranquilla, la modellazione numerica del sottosuolo a partire da dati integrali raccolti in superficie è possibile e permette di stabilire criteri di gestione per garantire rinnovabilità e uso sostenibile della risorsa.

2 - Caratteristiche del serbatoio geotermico:

- zone dove il fluido geotermico ha basso contenuto (con concentrazione di CO2 < 1 %), oppure alto contenuto (> 2 % di CO2 - serbatoio carbonatico) di gas climalteranti;

- zone con serbatoio geotermico a bassa profondità (fino ad 1 km) oppure a grande profondità (anche oltre 5 km);

- zone dove la temperatura della risorsa è alta, oppure dove la temperatura è bassa.

3 - Caratteristiche paesaggistiche, ambientali e naturali

- Zone ad alto valore paesaggistico, ambientale e naturale - aree protette, aree Natura 2000, acquiferi di acqua potabile di grande importanza ecc.;

- zone a basso valore paesaggistico, ambientale e naturale, per esempio zone industriali vicino a grandi agglomerati,

4 - Caratteristiche demografiche e socioeconomiche

- Zone con alta densità demografica e/o presenza di poli industriali;

- e zone poco popolate senza industrie, con attività agricolturali, artigianali, turistiche, enogastronomiche, ricreative.



Per semplificare la discussione sulla sostenibilità della geotermia elettrica, compariamo in quanto segue, due zone Modello molto diverse tra loro, addirittura antitetiche, che corrispondono a zone reali dove sono in esercizio o in progetto centrali geotermiche:

Modello 1 - La zona del Lago di Bolsena e dell’Amiata, zona caratterizzata dall’insieme di caratteristiche con:

- geologia “complessa”, serbatoio a bassa profondità con fluido ad alta temperatura e alta concentrazione di gas climalteranti, di grande valore paesaggistico, ambientale e naturale, con bassa densità di impianti industriali e demografica.

Modello 2 – Un bacino sedimentario come quello di Parigi o il Bacino della Molassa prealpino in Baviera con:

- geologia “tranquilla”, serbatoio ad alta profondità e con fluido a temperature medio-alte, con bassa concentrazione di gas climalteranti. Negli agglomerati urbani aree di basso valore paesaggistico, ambientale e naturale con grande densità demografica e industriale. È in quelle aree che nel ultimo decennio sono nate numerose centrali a ciclo chiuso per la cogenerazione di calore ed elettricità.

schema della struttura geologica dell'Île-de-France


In questo primo articolo sulla sostenibilità, ci concentriamo sulla sostenibilità ambientale:


Sostenibilità ambientale, quali criticità?

Lo sfruttamento della geotermia profonda può presentare varie criticità per l’ambiente e la popolazione:

a - emissione di gas climalteranti come CO2 e CH4,

b - emissione di sostanze pericolose in atmosfera con inquinamento dell’aria, del suolo e dei corsi d’acqua,

c - inquinamento delle falde acquifere superficiali,

d - depauperamento delle falde acquifere superficiali,

e – subsidenza,

f - rischio sismico.



Esaminiamo, dunque, i quattro tipi di impianti alla luce dei due modelli e delle sopraelencate criticità.


A - Per impianti di “prima generazione” a ciclo aperto, e 

1 - per zone del Modello 1, queste criticità si esprimono pienamente.

a – Il fluido geotermico dei serbatoi di rocce carbonatiche della Toscana contiene un’importante frazione di “gas incondensabili” – molto variabile da un serbatoio all’altro e tipicamente intorno al 2 – 14% in peso. Oltre a questa frazione gassosa – di CO2 (dominante con un 95%), H2S, NH3, CH4 e tracce di altri gas (radon …), il fluido contiene varie sostanze chimiche disciolte, per esempio mercurio, arsenico e boro.

Le centrali emettono quindi grandi quantità di gas climalteranti: di CO2 (da 2% a 14% in peso del fluido, tra il 3% e il 6% per il campo geotermico di Latera), e di CH4 (in minore concentrazione, però con un potere climalterante 25 volte quello dell’anidride carbonica). L’impatto delle emissioni climalteranti si misura oggi tramite i “fattori di emissione” delle diverse fonti di energia che considerano l’insieme di tutti i gas emessi (in unità di “equivalenti CO2” – (CO2)eq) da una parte, e dall’altra tutto il processo della produzione di energia con una data fonte di energia “dalla culla alla morte” – durante tutto il ciclo di vita dell’impianto, dal reperimento dei materiali necessari fin al suo smantellamento.

Questo fattore di emissione di gas climalteranti risultava per le centrali dell’Amiata, nel 2007 e nella media delle centrali, di 850 g per 1 kWh di energia elettrica prodotto (non è chiaro se questo valore si riferisce, come sarebbe corretto, a energia elettrica prodotta disponibile nella rete (e quindi al netto del consumo della centrale stessa); sicuramente non considera tutto il ciclo di vita). Secondo dati diffusi dal Comitato GeotermiaSì, questo fattore sarebbe sceso a 508 gCO2/ kWh nel 2016 – forse a causa del contenuto minore di gas nei serbatoi profondi e/o di un aumento dell’efficienza energetica delle centrali [3]. Bravi e Basosi (2014) determinano l'emissione media di CO2 dalle centrali amiatine a 497 gCO2 / kWh.
Una stima per la centrale “Nuova Latera”, progettata dall’ENEL a Latera, dà un fattore di emissione di circa 1000 gCO2 / kWh (partendo dai dati di progetto e dalla potenza nominale dell’impianto). Stime per i campi geotermici della Turchia (circa 3% di CO2 in peso nel fluido) di Aksoy et al (2015) danno fattori tra 900 e 1300 gCO2 / kWh.

Tutti questi fattori di emissione sono più alti di quello di una centrale a gas fossile [4] e raggiungono o superano quelli di centrali a carbone (Nuova Latera). [5]

b – Tutte queste centrali emettono importanti quantità di sostanze pericolose per la salute, di cui ammoniaca, idrogeno solforato, mercurio, arsenico. I filtri impiegati (“AMIS” [6]) non riescono ad abbattere completamento questo inquinamento (vedi qui le stime per la “Nuova Latera”). Particolare attenzione merita l’ammoniaca che, malgrado l’azione di abbattimento, nelle torri evaporative entra in contatto con l’atmosfera. L’ammoniaca è un precursore delle polveri fini molto nocivi per la salute umana [7]. Nel 2016 dalle centrali di Bagnore e Piancastagnaio, sono stati emessi e finemente dispersi sulla zona circostante 1460 t di NH3, 900 kg di H2S e 200 kg di Hg. Queste emissioni provocano gravi danni per la salute della popolazione [8].

c – Le faglie presenti in tutte le aree a “geologia complessa” costituiscono possibili vie di comunicazione tra gli acquiferi superficiali e i serbatoi geotermici. Questo fatto è stato rilevato in molti studi; per una testimonianza recente, vedi Vignaroli et al (2013). Esiste quindi il rischio di contaminazione delle falde superficiali con sostanze nocive del fluido geotermico come arsenico, antimonio e vari gas (H2S, NH3 ecc.). Per l’acquifero dell’Amiata è stato osservato un aumento della concentrazione di arsenico da circa 2 µg/l a circa 10 µg/l a partire dall’anno 2000. Durante il breve e sfortunato esercizio della centrale di Latera (1999-2000) è stato osservato l’inquinamento con sostanze velenose di pozzi nei dintorni dell’impianto.

d – Questa comunicazione tra acquifero superficiale e acquifero profondo tramite la rete di faglie e fratture in aree a geologia complessa, può portare al depauperamento della falda superficiale e quindi ad un consumo non rinnovabile della risorsa di acqua potabile. Un possibile meccanismo è il richiamo di acqua della falda superficiale nel serbatoio geotermico causato dalla depressione locale nella vicinanza di un pozzo di produzione. Il meccanismo più importante è il riempimento con acqua potabile delle falde superficiali dei serbatoi geotermici svuotati (data la gestione non rinnovabile della risorsa nelle centrali a ciclo aperto): per la zona di Larderello questa ricarica è stimata dall’ARPAT a 1000 t/h.

Per l’acquifero dell’Amiata definito “strategico” dalle massime autorità per la tutela delle acque, il corpo idrico più importante della Regione Toscana con una utenza di circa 700.000 persone, si osserva un importante abbassamento dei massimi piezometrici (rilevato dal piezometro regionale di Poggio Trauzzolo) di più di 200 m nel periodo tra il 1970 e l’anno 2006.
centrale geotermoelettrica sull'Amiata (Bagnore)


Lo stesso effetto pare sia stato osservato durante l’esercizio della centrale di Latera, con un abbassamento del livello del Lago di Mezzano e del suo effluente.

e – Un ulteriore effetto negativo dello svuotamento dei serbatoi geotermici più superficiali è la subsidenza, cioè l’abbassamento del suolo in superficie che a sua volta causa erosione, frane e danni a strutture – strade, ponti, edifici – in superficie. Nelle varie zone di sfruttamento geotermico della Toscana è stato osservato un abbassamento del piano di campagna che può ammontare fino ad alcuni metri.

f – Uno dei maggiori rischi dovuti a impianti geotermici in zona a “geologia complessa” è il rischio sismico (vedi anche qui per l’impianto di Castel Giorgio). Ogni impianto geotermico che attinge direttamente al fluido geotermico, e ogni trivellazione profonda può provocare alterazioni della struttura geologica e può indurre e innescare sismi.

Ormai questo fatto è scientificamente acquisito, anche se le autorità amministrative e giuridiche sono ancora riluttanti a riconoscerlo. La prima prova scientifica per l’induzione di un sisma proviene proprio dal campo geotermico di Torre Alfina, dagli esperimenti di reiniezione nel pozzo RA-1 condotti dall’ENEL nel 1977 (Batini et al 1980; vedi immagine).
Sono riportati in funzione del tempo, dal basso verso l'alto: la velocità registrata dal sismografo, la pressione a bocca pozzo del fluido iniettato, il flusso del fluido iniettato. Quando pressione e flusso superano un valore critico, si osservano eventi sismici indotti


Tutti questi casi mettono in evidenzia un altro fatto: la probabilità di indurre o innescare terremoti è particolarmente elevata durante la iniezione di liquidi nel sottosuolo, per esempio durante la reiniezione di fluido geotermico nel caso di centrali a ciclo chiuso o durante la stimolazione chimica e/o pressoria dei pozzi per aumentare la permeabilità nel sottosuolo.

La magnitudo dei terremoti indotti ed innescati può raggiungere quella della sismicità naturale della zona (con massimi vicino a M = 6 con effetti devastanti (intensità di Grado Mercalli da 9 a 10) nella zona di Castel Giorgio) - vedi qui per una recentissima e completa analisi del rischio sismico nelle nostre zone, attraversate da faglie tettoniche profonde associate al Graben Siena-Radicofani, le quali rischiano di essere innescate da attività connesse all’esercizio di centrali geotermiche. Le intrinseche criticità geologiche, geologico-strutturali, sismo-tettoniche e idrogeologiche comporterebbero un rischio sismico tale da rendere improponibile, nel senso del principio di precauzione, uno sfruttamento industriale della risorsa geotermica [10].

Ricordiamo infine che molte delle aree del Modello 1 hanno grande valore paesaggistico, ambientale e naturale e comprendono zone protette – parchi, siti della rete Natura 2000, aree sensibili e protette dalla Direttiva Quadro sulle Acque - e limitrofe ad esse.

In queste aree protette vige per legge una formulazione specifica, stringente del principio di precauzione:

”Quindi, quando sussiste un’incertezza quanto alla mancanza di effetti pregiudizievoli per l’integrità del detto sito legati al piano o progetto considerato, l’autorità competente ne dovrà rifiutare l’autorizzazione”

Con ciò:L’onere consiste pertanto nel dimostrare l’assenza di effetti pregiudizievoli piuttosto che la loro presenza.” (vedi Documento EU 2019/C 33/01, pag. 38. Sentenza C-127/02, punto 57).



Per impianti di “prima generazione” a ciclo aperto, e

2 - per zone del Modello 2, queste criticità si riducono:

a – il contenuto di gas climalteranti è basso,

b – il contenuto di sostanze inquinanti è alto e la loro emissione in atmosfera non può essere evitata completamente. L’impatto dell’inquinamento delle zone limitrofe è particolarmente dannoso quando l’impianto si trova in zona densamente popolata,

c – il rischio di inquinamento dell’acquifero superficiale è basso, causa l’assenza di vie di comunicazione (faglie) e il grande spessore delle formazioni geologiche interposte;

d – per gli stessi motivi il rischio di depauperamento della falda superficiale è basso,

e – nel caso di una gestione non rinnovabile della risorsa geotermica, il rischio di subsidenza è reale, però mitigato dalla grande profondità del serbatoio,

f – anche il rischio sismico è basso perché la sismicità naturale è bassa.

Confrontiamo i risultati per i due Modelli:

Per impianti di tipo A (“ciclo aperto”), e per zone Modello 1 e Modello 2

(A = alto, B = basso)

Zona
Modello
impatto climalterante
emissioni in atmosfera
inquinamento acquiferi
depauperamento
acquiferi
subsidenza
rischio sismico
1
        A
A
A
A
A
A
2
B
A
B
B
B
B



Riassumiamo:

- Impianti geotermoelettrici a ciclo aperto, in zone del Modello 1, con fluidi geotermici ad alta concentrazione di gas climalteranti e altri inquinanti hanno un forte impatto negativo sull’ambiente. Non sono sostenibili per l’ambiente in modo difficilmente sanabile:

– l’anidride carbonica viene rilasciata in atmosfera a causa della concezione tecnologica degli impianti a ciclo aperto, e può essere intercettata e purificata soltanto in impianti costosi che hanno un loro proprio impatti sull'ambiente;

- l’impatto delle altre emissioni nocive in atmosfera (H2S, NH3, Hg …) può soltanto essere mitigato, ma non eliminato [11].

In più, per gli impianti a ciclo aperto i rischi di inquinamento e di depauperamento dell’acquifero superficiale, e il rischio sismico sono elevati.

- Impianti a ciclo aperto, in zone del Modello 2, non sono sostenibili per l’ambiente a causa delle emissioni di sostanze nocive in atmosfera che non possono essere eliminate, e mitigate soltanto con costi molto alti. In ogni caso, questi impianti non possono essere realizzate in zone ad alta densità demografica.



Discutiamo adesso la sostenibilità ambientale per


B - impianti di “seconda generazione” a ciclo chiuso,  

1 - per zone a “geologia complessa” come nel Modello 1:

a – La tecnologia a ciclo chiuso prevede la totale reiniezione del fluido geotermico, incluso tutti i gas incondensabili e tutte le sostanze inquinanti. Questo rappresenta un problema tecnologico difficile da risolvere in alcuni casi (serbatoi carbonatici con alta concentrazione di CO2) [12], poiché rende necessario il controllo di temperatura e pressione del fluido geotermico primario durante tutto il suo ciclo in modo che l’anidride carbonica rimanga disciolta e che la calcite non precipiti dalla soluzione [13]. Rimane comunque il problema di emissione di gas durante i periodi inevitabili di fermo della centrale, e le ingenti emissioni durante le prove di produzione.

b – Come lo sono i gas incondensabili, anche le sostanze inquinanti sono completamente reiniettate.

c – d – e - Grandi problemi nascono nelle zone a “geologia complessa” dalla presenza di faglie e altre strutture nel sottosuolo che possono

- rappresentare possibili vie di comunicazione tra i vari strati geologici,

- impedire la libera circolazione del fluido nel serbatoio.

Vignaroli et al (2013), nel loro studio sul campo geotermico di Torre Alfina, evidenziano proprio questi rischi, che si manifestano in maniera particolarmente grave in impianti a ciclo chiuso. Questi si distinguono per importanti quantità di fluido reiniettate nel sottosuolo e in generale per elevati flussi indotti durante tutto il ciclo estrazione–reiniezione–flusso ipogeo nel serbatoio, e con ciò per grandi differenze pressorie tra le zone di produzione e reiniezione. Questo anche nel caso in cui il ciclo nella sua parte ipogea è davvero chiuso. Più gravi ancora sono i pericoli quando la continuità idraulica nel sottosuolo è interrotta e si ha travaso da una parte del serbatoio geotermico in un’altra separata dalla prima a causa della compartimentazione nel sottosuolo, oppure in un serbatoio diverso.

Questo comporta rischi elevati di

- inquinamento delle falde superficiali di acqua potabile,

- consumo della risorsa di acqua potabile,

- subsidenza nel caso che il fluido geotermico non venga reiniettato nel serbatoio di provenienza,

- di induzione e innesco di terremoti.

Non è possibile, nelle zone a geologia complessa, procedere - a partire da dati integrali raccolti in superficie - ad una modellazione del sottosuolo sufficientemente esatta per predire la presenza reale di questi rischi e la probabilità di gravi impatti sull’ambiente e la popolazione.


Infine, discutiamo la sostenibilità ambientale per impianti di “seconda generazione” a ciclo chiuso,

2 - per zone a “geologia tranquilla” come nel Modello 2:

a – b – Non è un problema tecnologico per impianti a ciclo chiuso, in assenza di gas incondensabili, evitare l’emissione in atmosfera delle sostanze inquinanti contenute nel fluido, durante l’esercizio della centrale. L’unica accortezza è di evitare l’inquinamento durante le fasi di fermo centrale.

c – d – e – f In zone con geologia “tranquilla” (assenza di faglie, strati di roccia di sedimentazione antichi e spessi interposti tra acquifero superficiale e acquifero geotermico, sismicità naturale bassa), il rischio di inquinamento della falda superficiale, il rischio di depauperamento dell’acquifero superficiale, il rischio di subsidenza e il rischio di indurre e/o innescare terremoti è basso.


centrale geotermica a ciclo chiuso a Villejuif nella regione dell'Île-de-France


In questo caso di geologia tranquilla è possibile una modellazione del sottosuolo a partire da dati integrali raccolti in superficie, che permette di predire, valutare ed evitare eventuali rischi ambientali.

L’unica centrale geotermica a ciclo chiuso in esercizio in Italia è l’impianto di Ferrara dedicato al teleriscaldamento. Non disponiamo di dati e studi per valutare la sua sostenibilità ambientale.

Confrontiamo i risultati per i due Modelli:

Per impianti di tipo B (“ciclo chiuso”), e per zone Modello 1 e Modello 2

(A = alto, B = basso)

Zona
Modello
impatto climalterante
emissioni in atmosfera
inquinamento acquiferi
depauperamento
acquiferi
subsidenza
rischio sismico
1
        B
B
A
A
A
A
2
B
B
B
B
B
B



Riassumiamo:

- Impianti geotermoelettrici a ciclo chiuso, in zone del Modello 1, presentano rischi importanti di inquinamento e depauperamento degli acquiferi superficiali, di subsidenza e di induzione e/o innesco di terremoti. Tutti questi rischi possono essere persino più alti che per impianti a ciclo aperto a causa del flusso elevato di fluido geotermico nel sottosuolo e degli effetti della reiniezione di fluido.

- Impianti a ciclo chiuso, in zone del Modello 2, presentano impatti ambientali bassi in tutte le categorie di rischio.



C ― Impianti di “terzo tipo o generazione”,

caratterizzati da scambiatori di calore posizionati nel pozzo profondo, presentano impatti ambientali importanti soltanto durante la fase di perforazione del pozzo, impatti che sarebbero da evitare in zone ad alta sismicità.

D ― Impianti di “quarto tipo o generazione”,

 cioè impianti innovativi e sperimentali: non disponiamo ancora di sufficienti informazioni per valutare i loro rischi ambientali.  



Conclusione

Nessuno degli impianti geotermoelettrici esistenti ad oggi in Italia è sostenibile per l’ambiente. Tutti sono realizzati in zone a geografia complessa, e tutti sono a ciclo aperto presentando gravi criticità in tutte le categorie di rischio considerate: emissione di gas climalteranti comparabili o superiori a centrali a combustibili fossili, emissione di sostanze dannose per l’ambiente e per l’uomo, inquinamento delle falde acquifere superficiali, depauperamento delle falde superficiali, subsidenza e induzione e innesco di terremoti.

Ma anche le centrali a ciclo chiuso in progetto sono tutte collocate in zone a geografia complessa e presentano gravi criticità: inquinamento delle falde acquifere superficiali, depauperamento delle falde superficiali, subsidenza ed induzione e innesco di terremoti.



______________________________________

[1] Specchio di questa scelta è l’Inventario delle risorse geotermiche nazionali, ENEL-ENI-AGIP-CNR-ENEA, Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, 1987).

[2] Dopo la pubblicazione del primo articolo (“rinnovabilità”) della serie, è nata una discussione sull’uso della definizione impianti di “terzo tipo” o “terza generazione”. In questi post seguiamo una convenzione più recente (e più corretta) che attribuisce il “terzo tipo” a centrali DHE – di una generazione più recente di quelli di “secondo tipo” e molto più sostenibili. Prima la “terza generazione” veniva attribuita a impianti EGS (enhanced geothermal system) o HDR che noi cataloghiamo sotto “secondo tipo”; infatti hanno in comune con centrali a tipo chiuso molte caratteristiche tecniche e anche il periodo in cui sono nati – appartengono alla stessa generazione.

[3] Se si prende in considerazione anche l’emissione di metano, il fattore di emissione di gas climalteranti è di circa 660 g(CO2)eq /kWh (vedi Data analysis of atmospheric emission from geothermal power plants in Italy”).

[4] Secondo i dati ISPRA il fattore di emissione della CO2 per la produzione geotermoelettrica da combustibili fossili (nella media del mix nazionale) è stato nel 2017 di 491 gCO2/kWh. Il fattore di emissione per gas naturale era di circa 370 gCO2/kWh. (Vedi pagina 30 Report Ispra “Fattori di emissione atmosferica di gas a effetto serra nel settore elettrico nazionale e nei principali paesi europei).

[5] È generalmente aberrante l’argomento che gli impianti “a ciclo aperto” emettono solo i gas che comunque verrebbero emessi nell’atmosfera nel futuro, e che quindi il loro impatto climalterante sia nullo:

- per quasi tutti i serbatoi l’emissione naturale di gas in atmosfera avviene a un tasso di emissione molto basso (dipendente dalla presenza di faglie, di “hot spots” ecc.);

- l’esercizio delle centrali emette grandi quantità di gas climalteranti adesso, in un breve lasso di tempo, e aumenta l’attuale emergenza climatica invece di ridurla: i tempi di emissione di CO2 non corrispondo al ciclo naturale della sua produzione e immissione in atmosfera che è un “ciclo lungo”;

- l’esercizio delle centrali emette da serbatoi profondi grandi quantità di gas che naturalmente mai sarebbero stati emessi;

- nei pochi casi particolari come per qualche serbatoio superficiale della zona di Larderello, dove le emissioni naturali alti si sono ridotte negli ultimi 50 anni, questa riduzione è dovuta all’esaurimento dei serbatoi – eliminando tutto il fluido e rilasciandolo in atmosfera in breve tempo si elimina anche tutto il gas contenuto. L’effetto dà quindi prova, oltre della non-sostenibilità ambientale anche della non-rinnovabilità dell’utilizzo della risorsa;

- inoltre, c’è da considerare l’effetto che l’esercizio può avere sulle condizioni nel sottosuolo:

- movimentando fluidi nel sottosuolo durante l’esercizio delle centrali si favorisce il discioglimento di CO2 dalle rocce carbonatiche e si aumenta la quantità di gas nel serbatoio,

- alterazioni indotte nel sottosuolo possono alterare localmente le condizioni di emissione di gas dal suolo, aumentandole o riducendole,

- a causa delle depressioni generate dallo sfruttamento, nel serbatoio i gas incondensabili risalgono verso la superficie e possono essolversi dalla fase liquida per formare una fase gassosa.  
[6] Acronimo di Abbattitore di Mercurio e Idrogeno Solforato.


[7] Per quanto riguarda l’emissione di materiale particolato (PM) da centrali geotermiche a ciclo aperto, sono da considerare sia emissioni dirette di particolato (PM primario), sia la formazione di particolato a partire da gas precursori in seguito a trasformazioni fisico-chimiche in atmosfera (PM secondario).

Il particolato primario viene generato soprattutto dalla combustione di materiale fossile e organico. In centrali per la generazione elettrica, esso viene prodotto durante i processi di combustione, per esempio nei fumi nel caso di centrali a legna o carbone, ma anche durante il raffreddamento del fluido geotermico evaporato nei torri di raffreddamento. In quest’ultimo caso, una pioggia di goccioline di fluido geotermico viene fatta cadere dall'alto verso il basso, mentre dell'aria viene pompata dal basso verso l'alto. Queste goccioline in buona parte evaporano completamente lasciando un microagglomerato di cristalli dei sali disciolti nel fluido geotermico. Questi microagglomerati di sali, che sono per lo più solfati (ed in parte minore nitrati) sono espulsi dalla torre di raffreddamento direttamente in atmosfera. Essi contengono tra l'altro anche metalli pesanti (tra cui Mercurio, Arsenico, Antimonio, Tallio, Torio, Cesio, Uranio e altri). All'uscita delle torri di raffreddamento, i vapori tornano a condensare attorno ai centri di condensazione formati da queste micro agglomerati, generando materiale particolato.

Lo studio Patos-2 (Particolato Atmosferico in Toscana) evidenzia la presenza di polveri sottili a Piancastagnaio (che vengono definite di tipo “secondario”); nelle conclusioni dello studio si afferma che sono significative solo a livello locale.

Il particolato secondario vero e proprio viene formato in atmosfera a partire da “gas precursori” (che sono principalmente ammoniaca, ossidi di azoto, biossido di zolfo, composti organici volatili). Un esempio ne è la formazione di PM nell’atmosfera in prossimità di allevamenti zootecnici che emettono grandi quantità di ammoniaca. Poiché anche centrali geotermiche emettono ammoniaca in quantità elevate, sicuramente portano anche alla formazione di particolato secondario. Per stimarne le concentrazioni su tutto il territorio, occorre conoscere le complesse dinamiche dell’atmosfera per valutare, tramite modelli fotochimici, sia la diffusione e la dispersione, sia la formazione degli inquinanti secondari, a partire dalle trasformazioni dei precursori.

[8] Lo Studio Epidemiologico a cura della Fondazione Monasterio (2010): Dall'analisi dei dati disaggregati, a pag.82 dello Studio, emerge che nei maschi residenti nei comuni geotermici dell'area dell’Amiata si registra un eccesso statisticamente significativo della mortalità per tutte le cause del 13%. Vedi anche lo studio dell’ISDE del 2018 che propone come una unica soluzione: l’immediata chiusura delle centrali con loro dismissione e bonifica dei siti. 

[9] Secondo Stefan Wiemer, direttore del servizio sismologico svizzero, si tratta di un precedente "che ovviamente rappresenta una grande sfida per qualsiasi futuro progetto geotermico".

[10] Vedi anche le raccomandazioni prescritte nel rapporto ICHESE 2014, dall’ISPRA, successivamente acquisite e confermate dalla Commissione Grandi Rischi – Settore rischio sismico, del Gruppo di Lavoro per la definizione di indirizzi e linee guida per il monitoraggio di microsismicità, deformazione del suolo e pressione di fluidi di poro, trasmesse con nota del 9/5/2014 prot. Dip/0024667, dal Dipartimento della Protezione Civile ai Ministeri dello Sviluppo Economico, della Ricerca Scientifica e dell’Ambiente.

Per una recente discussione di tutta la problematica, vedi i contributi al terzo Schatzalp Workshop, 5-8 marzo 2019.

[11] Per gli impianti “flash” non è tecnologicamente impossibile intercettare completamente tutte le emissioni in atmosfera e separarne l’anidride carbonica per stoccarla o reiniettarla nel sottosuolo. Poiché economicamente impegnativo, in pochi impianti nel mondo si tenta di farlo (p. e. nella centrale di Radicondoli). Si aggiungono due problemi non ancora risolti:

- non è facile commercializzare la grande mole di CO2 captata, inoltre contenente tracce di inquinanti. C’è il reale pericolo, che il prodotto captato venga rilasciato in atmosfera successivamente;
- i serbatoi geotermici possono non essere adatti per il stoccaggio di CO2.

[12] “Allo stato attuale delle conoscenze, anche a livello internazionale, non esistono applicazioni industriali dove sia stata sperimentata con successo la reiniezione totale degli incondensabili (in campi con contenuto di gas superiori all’1%), tranne l’esperienza negativa effettuata in un sito della US Navy (campo geotermico di Coso in California USA). In Amiata la percentuale di gas incondensabili supera anche il 10%.” … “In sintesi, quindi, ad oggi nessun impianto geotermico nel mondo (sono oltre 620 le centrali geotermiche in esercizio nel pianeta) utilizza la reiniezione totale (fase liquida + gas), in campi con contenuto di gas superiori all’1%.” (Vedi le osservazioni pubbliche al progetto “Val di Paglia” (0SS_10 - https://www.regione.toscana.it/-/procedimento-coordinato-e-provvedimento-unico, progetto "Realizzazione di un impianto geotermico di tipo binario con tecnologia ORC (Organic Rankine Cycle) e potenza di design pari a 9,999 MW e relative opere connesse nel Comune di Abbadia San Salvatore  (SI)").

[13] Secondo l'ENEL stessa, la totale reiniezione del fluido con alto contenuto di gas incondensabili è "infattibile".
Esiste anche un approccio meno impegnativo ma anche meno “puro”: si permette la depressurizzazione del fluido e si capta la CO2. Il fluido senza gas viene convogliato nella centrale e cede il suo calore. Dopodiché, al fluido raffreddato viene aggiunto il gas, per reiniettare le due componenti insieme. Le deposizioni e incrostazioni di calcite si evitano aggiungendo sostanze chimiche al fluido (con il rispettivo inquinamento). Metodo a lungo sperimentato nella centrale di Bruchsal.