Perché Legambiente dovrebbe
riflettere sul suo nome
(Lettera aperta del CAT a
Legambiente)
Porta un nome impegnativo Legambiente – una lega, un
sodalizio per l’ambiente, per la protezione della Natura. Ne abbiamo bisogno in
tempi come questi in cui l’ambiente si trova sotto gravi minacce e assistiamo a
un suo degrado globale, che si manifesta nella diminuzione e nel degrado delle
risorse naturali, nel crollo degli ecosistemi e nella perdita di biodiversità,
e che mette in pericolo la sopravvivenza dell’uomo sulla Terra.
L’impatto insostenibile delle azioni umani è la causa delle
minacce all’ambiente e ai servizi ecosistemici indispensabili per l’umanità. La
scienza le distingue in tre categorie: il cambiamento climatico, l’inquinamento
e la produzione di rifiuti, e la perdita della natura (“loss of nature”) con
distruzione e frammentazione degli habitat.
È un’evidenza scientifica quindi che, per
fare fronte al cambiamento climatico, decarbonizzare (ed è questo l’obiettivo
principale dell’introduzione delle Fonti di Energia Rinnovabile “FER” e delle
rispettive direttive europee di cui la RED 3 è l’ultima) è importante quanto
preservare l’ambiente e tutelare la biodiversità (oggetto delle Direttive
Habitat e Uccelli, della Strategia per la Biodiversità e della Restoration Law
di recente adozione): perché sono azioni sinergiche che rafforzano l’efficacia
l’una dell’altra. Occorre coniugare gli obiettivi ambiziosi dello sviluppo
delle FER con gli obiettivi altrettanto ambiziosi della tutela della natura e
della biodiversità, ambedue e a pari diritto prioritari.
Non è questa la posizione degli esponenti di Legambiente quando
commentano l’opposizione locale agli impianti industriali FER nell’Alta Tuscia.
Come esempio basterà riportare le parole del segretario nazionale Angelo
Gentili a proposito del parco eolico di Pitigliano: “L’unico vero pericolo
che abbiamo davanti è la crisi climatica…”.
A suo dire il NO locale all’eolico sarebbe principalmente legato a
motivazioni di natura ideologica piuttosto che al reale impatto che l’impianto
potrebbe avere sul territorio. Egli ritiene “un processo culturale
necessario” il sostegno alla realizzazione di impianti eolici e
agrivoltaici, dove la difesa di ambiente e paesaggio (il quale Gentili riduce a
“skyline e panorami”) è un aspetto del tutto secondario.
A tal proposito torna utile ricordare l’intervento di Silvana
Sciarra, presidente della Corte costituzionale, durante le celebrazioni del
75esimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione. In tale
occasione la Presidente evidenziava che il paesaggio nel suo aspetto visivo
assomma contenuti ambientali e culturali e dunque è di per sé un valore costituzionale.
Paesaggio che va inteso non come un concetto astratto di “bellezze naturali”,
ma come bene comune complesso e unitario, che l’articolo 9 della Costituzione
tutela insieme al patrimonio storico e artistico della Nazione “anche
nell'interesse delle future generazioni”.
Al contrario, Legambiente propone, per superare le “lungaggini
dei processi autorizzativi nazionali e regionali, dei contenziosi
sollevati da Comuni, Regioni e cittadini (sindromi Nimby e Nimto) che bloccano
la realizzazione di grandi impianti FER”, misure di semplificazione e accelerazione che
per lo più mirano all’eliminazione e all’indebolimento delle salvaguardie
ambientali e paesaggistiche. Questo, probabilmente, nel senso di “un
percorso di consapevolezza e acculturamento sul fronte delle energie rinnovabili” da parte
delle comunità, che sono considerate ignoranti e prive delle necessarie
competenze.
Liquidare le obiezioni fondate di cittadini, Comuni e Regione come
sindromi di negazione della realtà, riflette una posizione di Legambiente
superficiale e troppo spesso caratterizzata da un senso di superiorità.
Superiorità oggettivamente infondata e sicuramente controproducente al “bisogno
di una maggiore partecipazione e protagonismo dei territori”, come constata
lo stesso rapporto “Scacco Matto” di Legambiente, dove pure si riconosce che
vanno “rafforzati processi di dialogo, ascolto, confronto con l’obiettivo di
trovare soluzioni. Anche il mio miglior progetto, se calato dall’alto, rischia,
infatti, di non vedere la luce.”
Ma è proprio qui uno dei motivi principali delle
“lungaggini” deplorate: progetti industriali distruttivi vengono calati
dall’alto senza dialogo, ascolto, confronto, nel disprezzo della natura e delle
persone. Non meno importante è un altro motivo di opposizione, cioè la qualità
insufficiente e inaccettabile dei progetti, di cui uno dei peggiori è proprio
quello dell’impianto di Pitigliano, singolarmente carente sul piano
tecnico-scientifico e del rispetto delle normative.
Legambiente difende acriticamente non solo questo progetto e
simili, ma chiude anche gli occhi davanti alle alternative evidenti alla
distruzione di ambiente e paesaggio. Le quali non consistono, come fa credere,
nella rinuncia alle energie rinnovabili, ma al loro impiego razionale e
intelligente, permettendo di coniugare gli obiettivi dello sviluppo
delle FER con quelli della tutela della natura e della biodiversità.
Queste alternative sono: installare il fotovoltaico su
tetti e in aree impermeabilizzate e degradate, fondare comunità energetiche, permettere
con misura impianti dell’agrivoltaico sostenibile dove il danno agli ecosistemi
viene compensato da aree dedicate al recupero della biodiversità, e
innanzitutto realizzare grandi impianti eolici in mare aperto (offshore), dove
si possono, grazie alla lunghissima linea di costa della penisola, collocare
tutti gli impianti necessari per soddisfare il fabbisogno energetico nazionale.
Nessun bisogno di riempire fino all’ultimo gli spazi
naturali della Tuscia: la soluzione per coniugare la tutela di ambiente e
paesaggio con lo sviluppo delle FER esiste. Adottare, sostenere, esigere questa
soluzione sarebbe un impegno degno di una vera Lega per l’Ambiente.
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